Piero Dorazio

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  CRITICA

A quattrocento metri sul livello del mare, in un monastero camaldolense nella villa di Canonica, di fronte alla città di Todi, Piero Dorazio (Roma, 1927-2005) ha creato da cinquant’anni una meditazione permanente sul colore. Questo valore della superficie e della precisione della pittura proviene dai futuristi e dalla pittura metafisica di De Chirico, ma anche dalla precisione della rappresentazione della città ideale di Piero della Francesca. L’opera di Dorazio è una combinazione di capacità musicale, di fiducia nel valore della linea.
Si può collocare Piero Dorazio parallelamente alla linea della continuità logica dell’indirizzo di Mark Rothko, sebbene la nebulosità della “novella” dell’americano non abbia niente a che vedere con la “calligrafia abissale” della scrittura pittorica di Dorazio. Uno di essi, nella storia della pittura, è il tema del “carattere” della luce, l’atmosfera o il velo che avvolge qualsivoglia creazione, sia di rappresentazione figurativa come di percezione astratta. La luce nella e della pittura è più che illuminazione. Penso a quei paesaggi cosmici, con la luce dello sfavillio metallico delle armi di battaglia di Albrecht Aldorfer, o alla umida luce delle candele silenti nelle piccole tavole di Adam Elsheimer; alla luce apocalittica della visione cristiana nelle opere di Matthias Grünewald; al tenebrismo delle cattive compagnie delle tele di Michelangelo Caravaggio; al piccolo e unico polo di luce, simile ad una candela alogena, delle opere di George la Tour; all’atmosfera esistenziale delle scogliere di Caspar David Friedrich; ai paesani in controluce dei piatti campi di Jean François Millet trasformati in radiosi girasoli provenzali nelle pennellate vigorose di Vincent van Gogh; alle tempeste di William Turner o alle ombre malinconiche delle piazze di Giorgio de Chirico; alla luce che disintegra la figura, a pennellate, degli impressionisti, e alla opposta luce metafisica dei quadri di Johannes Vermeer; alla luce greca, di alabastro e tramontana, situata all’orizzonte della baia di Port Lligat e tematizzata da Salvador Dalí; alla luce al neon delle scenografie di Erich Wonder o del Taxi Driver di Martin Scorsese, o alla luce del colore in sè, nella sua umidità, della pittura di Mark Rothko.
La luce è sempre la stessa, è semplicemente un fenomeno della vita della pittura; ma cambia ciò di cui si alimenta. E così cambia il suo colore, il suo manifestarsi. È nel tono di dipartita dellatela o nella sua carica di colore, nella quale il pennello compone strutture (l’ampiezza della propria impronta),sfumature (la densità della carica di colore),o luci che scaturiscono come “riserve”; è tutto questo: vuoti premeditati lasciati come strascichi trasparenti sulla carta.
Piero Dorazio codifica la luce all’interno del pigmento dei colori, fa in modo che i toni si facciano più densi, servendosi abilmente del pennello, della superficie, o della loro fusione. Piero Dorazio colloca gli elementi non come luce in relazione ad un’ombra che crea o modella un oggetto; al contrario. In Piero Dorazio c’è una valutazione differente, che avvalora l’autonomia delle linee e delle macchie di colore in sé.
Dorazio si propone di trarre (dalla forma viva) attraverso la sintesi della linea, la sua essenza, il suo ritmo… percepiti nella loro contemplazione. Infine, la linea cessa di essere il solo supporto della composizione, entrando a far parte della luce.
Dorazio assorbe gli aspetti della pittura, dell’architettura e della scrittura in strutture trasformatrici della nostra percezione. Di fronte a Matisse e alle sue composizioni di superfici di colore, di fronte ai rettangoli umidi di Rothko o alla sismografia espressiva del dripping di Pollock, Dorazio cerca articolazioni delle superfici.
Dorazio, nell’ambito della tradizione della pittura europea, recupera il valore dei frattali e dei nudi del colore, la densità del verticale e orizzontale cercata da Mondrian e convertita in movimento, in free jazz.
I colori di Dorazio rimandano ai colori della natura, al verde del tè, allo zafferano, all’azzurro e al porpora.