Achille Pace

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  CRITICA

"...La pittura di Achille Pace è un evento ineffabile che accade sotto i nostri occhi, un evento che avvolge nel suo fascino misterioso, nel suo senso di smarrimento, di infinito.
Essa è l'emanazione visibile di un'anima candida, costretta a combattere i conflitti del mondo, ma non toccata da questi conflitti, sempre libera di immaginare scenari senza contorni, assolute visibilità dell'essere.
Il campo di questa pittura è estensibile oltre i confini dell'astratto e si situa nell'universo dell'impossibile, del desiderio che non si appaga. Un desiderio dal sapore dolcemente erotico, dalle vibrazioni essenziali, trasparenti, come un velano che non scende mai, rimanendo alto a testimoniare l'esistenza del mistero. Un mistero che la pittura astratta consacra nella sua integrità, nella sua soffice integralità, di sottigliezza che sfugge alle blasfeme ingiurie della dissacrazione.
La pittura di Achille Pace è tutta carica di umori ed emozioni che non si potrebbero esprimere in altro modo, e così si esprimono in ampie tessiture di assenza, di lutto per la perdita del senso, per la perdita del centro.
Come una disperazione per l'iniziarsi di un gioco barocco dove tutto corrisponde a tutto, e il nulla si combina in speciali misture misteriche.
Nasce da questa riflessione sublime sull'indeterminato, il sussurro di una canzone senza parole, un invito all'infinita contemplazione del rito che si compie una volta per tutte, ma poi si torna a compiere con una circolarità che è simbiotica dell'indeterminato, con una labirinticità che è prossima alla disperazione del deserto.
La pittura di Achille Pace è un pellegrinaggio nella terra dell'ignoto, dove ogni verità si veste d'inganno per poter servire alla propria smania d'identità, di perversione, di travestimento. è il necessario contraccolpo dell'infinito amore, dell'infinito odio. E il necessario contraltare della gestualità che non si lascia guidare, ma vaga sulla tela, come può vagare un istinto che si è sciolto dalla catena e gusta il senso acerbo della libertà.
In questo contesto germinale, Achille Pace, con la sua gestuale perfezione, può essere letto come la pagina di un libro ideale, dalla forma imprevedibile, insieme a suoi dissimili come Vedova, Turcato, Dorazio, Nigro, Scordia, Corpora. Una vera e propria costellazione dell'indeterminato costruibile entro uno spazio determinato. Lo spazio di una tela, uno spazio finito, ridotto all'essenziale, eppure illusivamente dilatato fino a divenire indefinibile, imprendibile. In ciò la pittura di Achille Pace, è una totale assimilazione di tutte le irrazionalità che governano la pittura e tutta l'arte contemporanea, una totale messa in scena delle contraddizioni dell'immaginario. Un immaginario sfocato nei contorni di una possibile riconoscibilità e diffuso nella sua estensione più critica, segreta.
Criticità e segretezza che configurano il mistero stesso dell'arte, il suo prodursi come materiale di un gioco le cui regole sono inventate ogni volta, e ogni volta rivelano il miracolo. Il miracolo dell'opera che nasce dalle sue ceneri e torna a trionfare a dispetto di ogni previsione di eclisse. Eclisse come oscuramento delle vedute prospettiche e riduzione dell'opera a un piano, un piano in cui sono poggiati dei punti di riferimento puramente formali, immemori del loro stesso appartenere alla genealogia di un Pollock, di un Burri, o di un Licini.
Immemori perché nell' atlante occidentale cominciano a cancellarsi i riti e i miti di una civiltà disperata che non ha nulla da dire, anche se comunica tanto, ma ha tanto da far vedere, anche se annulla la vista come mezzo d'allegoria, di metafora, di simbolo e mantiene il segno come unico che lotta dalla sparizione, dal fondo dell'invisibile. I limiti di scoperta, a cui questo testo non si sottrae, sono quelli concatenati con il terremoto interiore dell'artista, con la sua voglia di svuotarsi di tutto quanto è pesante fardello gravitazionale, un ingombro pieno di frammenti che mai saranno riconducibili a unità e forse è meglio così.
In fondo ogni galleria personale d'artista è un firmamento della differenza, di una differenza fondata sull'emozione personale, sulla solitudine, sull'invenzione. Una solitudine che ha dell'alchemico e del diabolico, del divino nell'accezione mitica e pagana. Una solitudine che di Pace, uomo moderno, inserito nell'ordinario, nel quotidiano, fa un delirante appassionato attore di monologo, in questo caso di un catturante monologo senza parole."

Francesco Gallo
[Dal catalogo Achille Pace - Infinito & Infinito, Ed. Electa, Milano, 1990]




"... Nel suo procedimento selettivo e riduttivo, Pace non setaccia entità imprecisate come lo spazio o la materia o il segno, ma queste ed altre entità in quanto storicamente acquisite al linguaggio artistico moderno.I suoi "materiali" non sono soltanto la tela e il filo, né lo spazio, la superficie, il colore, il segno; sono anche, e in primo luogo, Klee, Mirò, Picasso, Malevic, Burri, Fontana..."

Giulio Carlo Argan
[Dal catalogo Achille Pace - Il filo della coerenza, Civica galleria d'Arte Contemporanea, Ascoli Piceno, 1985]




"...L'inverso avviene in Achille Pace che, temendo il rivelarsi di un moto istintivo nel segno continuo tracciato dalla mano, lo obbiettiva, lo distacca da sé, lo sostituisce con un filo che per le necessità della sua applicazione materiale lo costringe ad una verifica, ad una guida meditata nel suo itinerario; dallo spettatore sollecita la trepidazione per la sua intrepida avventura nello spazio. Si direbbe che il Pace abbia colto il segno dell'intervento umano nella materia grezza; il rammendo, la cucitura nei sacchi di Burri, riscattandolo da una funzione subordinata, isolandolo nel suo valore di gesto volontario, e come tale, atto puro ma non "gratuito" lo esponga, non senza un margine del resto già scontato, di rischio, al paragone del tempo e dello spazio..."

Palma Bucarelli
[Dal catalogo Achille Pace - Il filo della coerenza, Civica galleria d'Arte Contemporanea, Ascoli Piceno, 1985]




"...D'altra parte non pretendono esibizioni di tramiti materici totalizzanti; sono invece elementi ulteriori nel gioco di rapporti in un campo "pittorico", dato, al quale Pace rinnova con convinzione la propria fedeltà. Ma permettono appunto un'apertura di racconto più articolata e flessibile. Di qui la complessità di certi "itinerari" recentissimi, nel '78 stesso come in quella sorta di "retabli", uno dei quali allude al "costruttivo", e che propongono una vicenda di costruzioni, in realtà così esplicitamente precarie, da assumere ruolo emblematico di una ineluttabile condizione di precarietà, direi esistenziale e insieme sociale, quale dimensione tipica della nostra realtà."

Enrico Crispolti
[Dal catalogo Achille Pace - Il filo della coerenza, Civica galleria d'Arte Contemporanea, Ascoli Piceno, 1985]