SUL LAVORO DI ALESSANDRO SARDELLA HANNO SCRITTO:
Mariella Arena, Luca Arnaudo, Silvia Cardi, Carlo Fabrizio Carli, Anna Cochetti, Emidio De Albertis, Alberto Esposito, Leonida Foresi, Laura Larcan, Alberto Mattia Martini, Fabio Massimo Penna, Vito Laporta, Cristina Mancini, Marina Onesti, J. Oliver Scott, Gabriele Simongini, Luigi Tallarico, Laura Turco Liveri, Francesca Ricci, Alessandra Rotili, Jonathan Turner.
PER UN HOMO VIDENS SPIRITUALE
di Gabriele Simongini
A chi non è mai capitato, ai primi difficoltosi approcci con un computer, di sentirsi un “primitivo della tecnologia”? Ecco, forse la condizione dell’uomo di oggi, di fronte allo strapotere ipertecnologico e massmediatico, è quella di una sorta di “primitivo” aggredito da fondamentali mutamenti percettivi e mentali. In un bel libro intitolato “La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo”, Raffaele Simone sostiene che, dopo l’invenzione della scrittura e poi della stampa (ovvero le prime due fasi), si è giunti ad un’epoca in cui la lettura è completamente secondaria, poiché ciò che sappiamo lo vediamo al cinema, in televisione, sullo schermo di un computer, nei manifesti pubblicitari o, tutt’al più, lo sentiamo dire. In altri termini, stiamo passando dall’intelligenza sequenziale, capace di decodificare le parole scritte secondo sequenze rigorose, ad un’intelligenza simultanea che sa trattare contemporaneamente più informazioni, “senza però essere in grado di stabilire una successione, una gerarchia e quindi un ordine”, per dirla ancora con Raffaele Simone. E quindi l’homo sapiens è sul punto di essere sostituito dall’homo videns, inteso come passivo fruitore di immagini ma non quale creatore di pensiero. Avevano allora ben ragione i nostri futuristi, ad inizio secolo, nel proclamarsi “i primitivi di una nuova sensibilità”! Tutte queste complesse e vitali questioni sono i fondamenti della rigorosa ricerca creativa di Alessandro Sardella, un’artista che ha viaggiato molto e che si è confrontato con le espressioni creative di cosiddetti popoli primitivi (gli aborigeni) e con quelle più intellettuali della sperimentazione europea. E la sua proposta – chiaramente enunciata anche in questa mostra – di offrire alla nostra percezione un inventario di segni – segnali dalle evidenti implicazioni cosmiche e planetarie, legate ai nostri bioritmi archetipici e all’anima mundi, tiene ben presenti i meccanismi comunicativi del messaggio pubblicitario e di quello informatico, fondati su immagini chiare, sintetiche, incisive e su colori rigidamente piatti e percettivamente bidimensionali.
In altre parole Alessandro Sardella ha capito che molta arte di oggi si attarda su un linguaggio legato ad una sensibilità estetica ormai superata, conclusa, mentre c’è necessità di un nuovo alfabeto aderente ai tempi odierni. In tale scelta c’è però, ben chiara, la volontà di non subire passivamente questa tirannia tecnologica, anzi di indicare dimensioni immaginative, simboliche ed ancestrali che diano profondità evocativa ai nuovi sistemi comunicativi. I gerogrammi di Sardella, legati ad un’idea di sacralità cosmica che trascende l’individualità della singola confessione religiosa, suggeriscono l’universalità dell’umanità più autentica, del rapporto con i pianeti e le galassie o col ciclo della vita che perennemente ritorna su se stesso. In tal senso Alessandro Sardella sa bene che, per dirla in parole semplici, l’immane rischio dell’uomo di oggi è quello di autoescludersi definitivamente da un ormai minacciato equilibrio naturale per diventare una presenza estranea e pericolosa che la natura stessa – ci si passi il temine generico – dovrà distruggere per garantire la propria sopravvivenza. Ma quelli di Alessandro non sono simboli fini a se stessi: essi ci offrono prima di tutto la loro sostanza di “elementi” (per usare un termine che il buon Capogrossi usava per la propria arte) costitutivi del codice pittorico. Sono la base per una nuova scrittura creativa fatta di immagini, di segni e colori adatti anche all’homo videns del futuro, ma soprattutto destinati a restituirgli una coscienza critica e mnemonica. Così, attraverso una potente “onda mnemica” (per citare Aby Warburg) fatta di urti successivi della memoria, si spera di riportare l’homo videns alla condizione di un nuovo primitivo capace di percorrere con inarrestabile forza le strade del proprio progresso, non tecnologico, si badi bene ma essenzialmente spirituale.
Roma, marzo 2001
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